La mia matrigna mi ha rinchiuso per evitare di andare al suo matrimonio con mio padre, ma non aveva previsto un piccolo dettaglio che avrebbe cambiato tutto.
Ho 30 anni. Mio padre ne ha 61. E circa tre mesi fa mi ha detto che si sarebbe risposato.
“Con Dana!” ha detto, con gli occhi che brillavano come quelli di un adolescente. “Faremo un matrimonio intimo. Solo amici intimi e parenti.”
Dana. Sulla cinquantina. Indossa i tacchi come se fossero incollati ai piedi. Parla come se stesse sempre a fare storie. E giuro che è fatta al 70% di Botox e al 30% di cattivo umore.
Beh, non ho mai odiato Dana. Ci ho provato. Ci ho provato davvero, davvero. Ridevo alle sue battute. Anche a quelle che non avevano senso. Mangiavo tutti gli stufati secchi e stracotti con un sorriso. Le comprai una bellissima sciarpa per Natale.
Non la indossò mai.
Fin dall’inizio, mi fece capire chiaramente che non ero la benvenuta. Non completamente, ovviamente. Sarebbe stato troppo sincero. Ma in mille modi.
Ogni volta che io e papà ci avvicinavamo – come per ricordare o ridere guardando film stupidi – Dana si comportava in modo strano. Iniziava a tossire. O diceva di avere l’emicrania. Una volta, affermò persino di aver avuto due intossicazioni alimentari nella stessa settimana.
Mio padre diceva sempre: “È solo sensibile, tesoro. Sai com’è il suo stomaco”.
Sì, sensibile al fatto di non essere al centro dell’attenzione.
Mi trattava come un fantasma, non come una figlia. Nemmeno come una persona. Solo come un residuo di una vita che non voleva affrontare. Eppure, ero lì. A ogni festa. A ogni compleanno. A ogni visita domenicale.
E poi arrivò quella telefonata importante di papà.
